La diagnosi prenatale comprende una serie di tecniche,
invasive e non, che consentono di fare diagnosi sul feto in epoche diverse
della gravidanza. Si distingue dalla diagnosi pre-impianto, che
viene anch’essa considerata la più precoce tecnica di diagnosi
prenatale, poiché questa viene eseguita sull’embrione prima del suo
trasferimento in utero
ANALISI
NON INVASIVE
1.
Analisi del DNA fetale
circolante
Questa innovativa tecnica diagnostica
non invasiva consente di analizzare la piccola quantità di DNA fetale presente
nel circolo sanguigno della madre. L’analisi si esegue mediante un semplice
prelievo di sangue della madre eseguito alla 9°-10°settimana di gravidanza. Questa
tecnica, recentemente introdotta anche in Italia, è al momento ancora molto
costosa e dunque difficilmente proponibile su larga scala. La tecnica
diagnostica con una sensibilità del 99% le più comuni anomalie cromosomiche
fetali legate soprattutto all’età materna avanzata, ovvero trisomia 21
(Sindrome di Down), trisomia 18 (Sindrome di Edwards), trisomia 13 (Sindrome di
Patau), anomalie dei cromosomi sessuali (Sindrome di Turner, Sindrome di Klinefelter,
ecc..).
VANTAGGI: essendo una
tecnica non invasiva, azzera il rischio di perdita fetale.
SVANTAGGI: ha un costo
elevato poiché di recente introduzione, e analizza solo 5 cromosomi anche se
con massima sensibilità.
2.
Test combinato
Questo test non invasivo, chiamato anche ultrascreen o ultratest, fornisce un
rischio statistico calcolato grazie al dosaggio di due ormoni (fbHCG e PAPP-A)
presenti nel sangue materno nel terzo mese di gravidanza e alla misurazione
ecografica di alcuni parametri fetali, il più importante dei quali è la translucenza nucale (misura della fisiologica raccolta di
liquido presente nella regione della nuca del feto).
Il test ha una sensibilità del
90-96%, quindi con un’elevata percentuale di falsi positivi (risultato
del test ad alto rischio ma feto sano) e falsi negativi (risultato del test a
basso rischio ma feto affetto). I falsi positivi causano un aumento di diagnosi
prenatali invasive (villocentesi e amniocentesi) “inutili”, mentre i falsi negativi possono causare
la nascita di un feto con anomalie cromosomiche.
Il risultato del test è un rischio di
patologia fetale, considerato “ basso ”se inferiore a 1/350 o“alto”se superiore a 1/350. In caso di risultato a“alto rischio", dopo
ulteriore controllo ecografico di secondo livello, la gestante può essere
indirizzata verso una diagnosi prenatale invasiva. In ogni caso si tratta di un calcolo
del rischio presunto ed in nessun caso con tale test si può conoscere la
costituzione cromosomica del feto. Il test inoltre non da nessuna informazione
riguardo le innumerevoli malattie genetiche causate da anomalia di un singolo
gene (circa 6000 mila).
Secondo le più recenti linee guida
della Fetal Medicine Foundation (FMF) è opportuno disgiungere il prelievo
dall’ecografia, e dunque eseguire il dosaggio ormonale tra la 9°e la 10°settimana di
gravidanza, mentre eseguire l’ecografia tra la 11°e la 12°. Questo consente di aumentare la
sensibilità del test fino al 95-96%, se lo strumento utilizzato per il dosaggio
ormonale, l’operatore che esegue l’ecografia e il software che esegue l’analisi
sono certificati FMF, altrimenti il test ha una scarsa attendibilità.
VANTAGGI: essendo una
tecnica non invasiva, azzera il rischio di perdita fetale. Ha un costo molto
contenuto.
SVANTAGGI: scarsa
sensibilità, soprattutto se eseguita in maniera non conforme (centri non
accreditati FMF). Spesso, gestanti con feti normali vengono indirizzate alla
diagnosi prenatale invasiva.
ANALISI INVASIVE